LA PARTITA DELLA MORTE
Fuga per la vittoria è un film meraviglioso. La storia di un gruppo di internati in epoca nazista che, per puro caso, si ritrovano a disputare una partita di pallone contro i propri vessatori, è qualcosa di stupendamente romanzesco.
Con tutti quegli intrecci che si articolano nella pellicola e la soluzione finale di rimontare il punteggio di 4-1 piuttosto che fuggire verso la libertà.. Un vero capolavoro della cinematografia sportiva. Eppure, per quanto originale ed inimitabile sia questo cult degli anni 80′, molto deve alla storia di un’altra partita il regista statunitense John Huston. Un incontro giocato anch’esso negli anni 40′, ma dall’esito tutt’altro che felice. Al punto tale di essere passato alla storia come “La partita della morte”.
Siamo nel 1942. In un campo di concentramento ucraino, lavorano come impiegati di un panificio un gruppo di calciatori locali all’epoca beniamini delle rappresentative cittadine della Dinamo di Kiev e della Lokomotiv. Divenuti noti alle milizie delle SS per i loro trascorsi da giocatori, vengono sfidati ad una partita di pallone con l’intento, da parte dei tedeschi, di rimarcare la supremazia della razza ariana anche in ambito sportivo e calcistico. In uno stadio gremito di tifosi ucraini e per nulla convinti di lasciar vincere gli avversari come avrebbe fatto loro più comodo, la rappresentativa dello Start (così era chiamata la formazione degli ucraini) infligge alla selezione tedesca 5 schiaffoni sul campo, terminando la partita per 5-1 e ricevendo dagli sconfitti, freschi di batosta, l’invito a ridisputare l’incontro qualche mese più tardi.
Nuovamente in campo contro la rappresentativa della Luftwaffe, ma ammoniti di perdere assolutamente l’incontro pena torture disumane o, addirittura, la fucilazione, lo Start comincia l’incontro passando immediatamente in svantaggio, ma alla fine dei primi 45 minuti il punteggio è di 3-1 a suo favore. Visitati da un ufficiale delle SS durante l’intervallo ed esortati per l’ennesima volta a perdere quella partita, i beniamini locali proseguono il secondo tempo con il morso allentato e nel giro di pochi minuti vengono raggiunti sul 3-3 dagli avversari. Sarà stata l’incoscienza o la voglia di non darla vinta a quei maledetti carnefici, ma fatto sta che lo Start ribalta nuovamente l’andazzo e sul punteggio di 5-3 si prende il lusso di umiliare la squadra tedesca: dopo aver saltato mezza difesa in solitaria ed essersi liberato comodamente del portiere, l’ucraino Klymenko si ferma col pallone sulla linea di porta ed invece di infilare la rete per la sesta volta, spazza la palla via dall’area di rigore avversaria in direzione del centrocampo. Come a dire “in quei maledetti lager le regole e le umiliazioni le stabilite voi, ma qui, su questo campo, a comandare siamo noi”.
Ovviamente le milizie presenti allo stadio e in zona non tollerarono un simile comportamento e prestando fede alle minacce ribadite prima e durante l’incontro, massacrarono e trucidarono istantaneamente gran parte della squadra, salvando da quel tragico finale di gara solo due giocatori: Mychajlo Svyrydovs’kyj e Makar Hončarenko. Del secondo, autore nella partita della seconda e terza rete, è stato eretto un busto dalla Dinamo Kiev con la dedica semplice, ma significativa, “A uno che se lo merita”. E a onor del vero, un monumento nella storia di questo sport se lo sono guadagnati tutti i componenti di quella selezione, non soltanto Hončarenko. Anche perché spesso sentiamo utilizzare nel nostro quotidiano la frase “Dare tutto per un gol o una partita”, ma questi, per vincere quell’incontro, sono arrivati al punto di offrire la propria vita. Preferendo piegarsi alle ginocchia naziste da morti, piuttosto che da vivi.
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